domenica 18 dicembre 2011

11 leoni


Per chi si cimenta nella lettura di queste righe, l'11 novembre 2011 non è che un ricordo. Passato prossimo, magari fuggito via senza neppure dare un'occhiata al calendario, o più semplicemente ad un display, sul quale si sarebbe letto «11/11/11». Se a qualcuno è capitato, può darsi che si sia perso in quella marea di «1» in fila per due, e se quel qualcuno è un calciofilo - come il sottoscritto - di certo un pensierino al suo «11» preferito l'avrà fatto. Segue una rassegna di «undici 11», selezionati non per meritocrazia ma perché degni d'essere raccontati.

Gigi Riva
«Rocco Sabato! Chi era costui?», avrebbe ruminato in poltrona Don Abbondio, se Manzoni fosse stato un nostro contemporaneo ed il prete in questione appassionato di calcio. Perché Rocco Sabato, onesto difensore oggi in forza al Sorrento, è stato l'ultimo calciatore del Cagliari ad avere l'onore d'indossare la maglia numero 11, quella che appartenne a «Giggirriva». Inspiegabilmente - perché la sua patria è la Sardegna - nato a Leggiuno, in Lombardia, la morte del padre Ugo lo porta in collegio: Varese, Viggù, persino Milano, ma lui non fa che scappare. Insegue qualcosa, ma cosa? La libertà, la libertà di far gol. La trova al Legnano, in Serie C, diciottenne: segna 6 gol, cui ne aggiunge 207 con la maglia del Cagliari. In azzurro, 35 marcature, due tibie ed un perone rotti. Evidentemente, l'unico numero mai avuto in comune con Rocco Sabato è stato l'11 della maglia.

Mágico González
«Più grande di Maradona», secondo Diego Armando Maradona. Che però diceva lo stesso dello sciagurato fratello Hugo. Miglior calciatore salvadoregno di ogni epoca. Nonostante sia ancora vivo e vegeto, l'«Estadio Nacional de la Flor Blanca» di San Salvador porta il suo nome. Ecco, Jorge Alberto González Barillas, «el Mago» a casa sua, «Mágico» al di qua dell'Atlantico, è questo. E molto, molto di più. In campo dispensa tunnel, rabone e colpi di tacco, fuori si rivela discreto tombeur de femmes. A Cadice, dove dispensa classe e mattane, è considerato una leggenda. Perché? Un paio di flash: Trofeo Ramón de Carranza, anni 80, il Barcellona vince 1-0 e di González non c'è traccia. Si palesa negli spogliatoi - visibilmente assonnato - all'intervallo, entra in campo e, con due gol e altrettanti assist, ribalta il risultato. Poi - siamo nel 1984 - il Barça lo porta in tournée negli Stati Uniti dopo la retrocessione del Cadice, ma nell'hotel californiano in cui alloggia la squadra scoppia un incendio. Maradona dà l'allarme, tutti fuori! Tranne uno: Mágico González, rimasto in camera. Ovviamente, in dolce compagnia.

Pavel Nedvěd
Un mistero biondo. Calcio e scienza difficilmente riusciranno a spiegare Pavel Nedvěd da Cheb, in riva al fiume Ohře. Non ha mai vinto la Coppa dei Campioni, eppure il suo palmarès trabocca di riconoscimenti, anche individuali (leggi: Pallone d'oro 2003): tanto basta per turbare i sonni dei più accaniti calciofili. La medicina, invece, ha secondo me indagato in maniera troppo poco approfondita sulle sue doti atletiche: personalmente, sospetto che Nedvěd possieda almeno un polmone supplementare, ed anni e anni di sgroppate sulla fascia non fanno che avvalorare la mia tesi. Ora occorre però tornare seri, per celebrare la grandezza di questo fuoriclasse, sceso persino in B per amore della Juventus, il cui sogno ricorrente ha e temo continuerà - purtroppo - ad avere delle grandi, grandissime orecchie ed un colorito argenteo.

Canhoteiro
Presente Garrincha? Bene. Ora immaginatevelo mancino, all'ala sinistra, con l'11 sulle spalle - ovvio, altrimenti non sarebbe menzionato - e le gambe di uguale lunghezza. Da Coroatá, stato del Maranhão, Nordeste, José Ribamar de Oliveira regala dribbling ed emozioni ai tifosi del San Paolo per 10 anni e 415 partite, cui 103 gol fanno da contorno. Idolo di un Pelé infante, non poté condividere con il celeberrimo ammiratore la gioia del trionfo in Coppa del Mondo nel 1958 perché scavalcato da Pepe e Zagallo, tatticamente più avveduto, nelle gerarchie del C.T. Vicente Feola. Muore, neppure quarantuaduenne, a San Paolo, il 16 agosto 1974. Come Garrincha, ma all'ala sinistra, e mai con la stessa maglia: neppure la Seleção ebbe mai l'onore di schierarli contemporaneamente sulle fasce.

Preben Elkjær
«Cavallo pazzo». Perché corre, all'ala sinistra e pure in macchina. Atterrisce Briegel sfrecciando in pieno centro a Verona, replica il 14 ottobre 1984 traumatizzando Pioli e Favero: quinta giornata del campionato che vedrà gli scaligeri trionfare, Preben s'invola sulla fascia e li fa secchi entrambi, rientra sul destro ed infila Tacconi. Con morbidezza: il cuoio viene baciato dal piede nudo di Elkjær, rimasto privo dello scarpino nel contrasto con Pioli. Uno scalmanato, dentro e fuori dal campo. Come potrebbe testimoniare il suo ex allenatore Hennes Weisweiler, se la morte non l'avesse privato del fiato: anni 70 agli sgoccioli, il Colonia acquista il danese dal Vanløse e lui dà un contributo marginale alla doppietta (Campionato e Coppa di Germania) del '78, ma un suo dialogo con Weisweiler va necessariamente riportato. All'allenatore giunge voce che Elkjær abbia trascorso la notte in un night, in compagnia di una donna ed una bottiglia di whiskey. «È così, Preben?», chiede Weisweiler. «Assolutamente no: la boccia conteneva vodka, e le donne erano due», è la serafica replica Elkjær.

Siniša Mihajlović
Il numero 11, per Siniša ed il suo ammaliante piede sinistro, divenne ben presto il retaggio di un dolce passato. In Jugoslavia, vestito di bianco e rosso (Vojvodina prima, Stella Rossa poi) quel numero l'accompagnava sulla fascia sinistra. Sedotto dalla Serie A, si ritrova a proteggere la difesa sotto gli ordini di Mazzone, e Boškov lo schiera addirittura terzino sinistro. Un destino calcisticamente benevolo si ricorda del figlio di Borovo Naselje, quando Eriksson lo inventa difensore centrale: Franceschetti è stato espulso in Coppitalia, e Siniša ha l'occasione di far valere le proprie doti in quest'inedito ruolo. Che non abbandonerà più. Nonostante la nuova collocazione tattica, però, Mihajlović non perde il vizio del gol: con la Lazio, alla prima da ex contro la Sampdoria, segna tre-gol-tre su calcio di punizione, la sua specialità. Alcuni ricercatori del Dipartimento di Fisica dell'Università di Belgrado si prendono la briga di esaminare il fenomeno, giungendo alla conclusione che il sinistro di Siniša raggiunge i 165 km/h. Come ci riesce? Be', non crederete mica che siano riusciti a scoprirlo.

Marc Overmars
Al cuor non si comanda. Non è così, Marc? Raccontarne i cross, gli infortuni e i dribbling sarebbe scontato, oltre che troppo semplice. Il ritorno in pista di un trentacinquenne Marc Overmars, tornato ad indossare la maglia del Go Ahead Eagles dopo un quadriennio di inattività per amore del gioco e della squadra, si merita invece ben più di qualche goccia d'inchiostro. Eccoci quindi proiettati nel passato: Amsterdam Arena, 26 luglio 2008, Jaap Stam conclude la propria carriera con la più classica delle partite a base di baci e abbracci. Però Overmars, che s'allena una volta a settimana con l'ex compagno Paul Bosvelt (Feyenoord e Manchester City nel suo passato), la prende più sul serio del previsto, e manda in bambola Ogăraru, ai tempi terzino dell'Ajax. Il mattino dopo squilla il telefono: ci torneresti a Deventer? Ma certo! Al cuor non si comanda.

Romário
Mille? Sì. No. Chissà. La matematica non è mai stata il mio forte, quindi le discussioni sui gol effettivamente segnati dal Baixinho le lascio agli appassionati di statistiche. L'unico numero che effettivamente m'interessa - indovinate un po' - è l'11. Che, in onore di Romário de Souza Faria, è stato ritirato dal Vasco da Gama, la società che l'ha visto nascere e morire in senso puramente calcistico. Al popolo vascaíno ha regalato magie ed emozioni, ad intervalli regolari - relativamente alla controversa carriera del personaggio - con tre ritorni alla casa madre, dopo aver consumato le reti d'Europa in Olanda (PSV Eindhoven) e Spagna (Barcellona e Valencia) e, mai sazio di gol, dato un assaggino finanche a quelle qatariote (Al-Sadd), statunitensi (Miami FC) ed australiane (Adelaide United). Sempre, o quasi, con l'11 stampato sulla maglia ed il piede - così come, spesso, anche la testa - più che caldo, incandescente.

Francisco Gento
Indossò il numero 11. Forse. Perché alla velocità con cui sfrecciava sulla fascia sinistra era pressoché impossibile leggere il numero scritto sulla sua maglia. Di color bianco Real Madrid, per 428 volte in diciott'anni. Volati via, come una galerna. Cos'è una galerna? Una tempesta che si abbatte, in primavera ed autunno, sulle coste della Cantabria. Chi è «la Galerna del Cantábrico», inteso come mar Cantábrico? Paco Gento, da Guarnizo, 9 chilometri da Santander. Lì semina i primi terzini, poi lo recluta il Madrid. Con le «Merengues», Gento disputa 9 finali europee, otto delle quali in Coppa dei Campioni, salotto buonissimo del calcio europeo che frequenta per quindici anni consecutive. Di queste otto finali, record condiviso con Paolo Maldini, ne vince sei: cinque filate, più quella del '66, da capitano del Real Madrid «Yé-yé».

Ryan Giggs
Undici. 11, uno-uno. Un nome, una squadra. Be', non proprio. Perché, sino ai quattordici anni, Ryan Joseph da Pentrebane (distretto situato nella parte occidentale di Cardiff) faceva di cognome Wilson e giocava nel Manchester City. Elencarne i trofei o i recenti scandali sarebbe troppo banale, meglio quindi approfondire il discorso sull'infanzia di Giggs. Che, venuto alla luce al St. David's Hospital di Cardiff, fu costretto a trasferirsi a Salford (contea del Greater Manchester) dal passaggio del padre Danny - cognome: Wilson, ruolo: mediano... d'apertura, 5 caps con il Galles - agli Swinton Lions. Primi calci nei Deans, allenati da uno scout del City, che fiuta l'occasione e recluta l'imberbe Ryan. Accade però che, il 29 novembre 1987, giorno del suo quattordicesimo compleanno, Alex Ferguson piomba a casa sua: l'offerta è di quelle che non si possono rifiutare. Il resto è storia.

Mario Corso
Mario Corso risponde al telefono, ed io mi presento: «Sono Antonio Giusto, e, per conto di Calcio 2000, sto scrivendo un articolo sui più grandi numeri 11 che noi appassionati di calcio abbiamo avuto la fortuna di ammirare...». Lui m'interrompe: «Ah sì? Ed io cosa c'entro?». Tanto grande quanto modesto, Mariolino. Poi, si parte con l'intervista.

Iniziamo con due parole su Skoglund e Rummenigge, grandi numeri 11 con cui lei ebbe a che fare in nerazzurro: compagno di squadra ed erede di «Nacka», fu allenatore di Kalle nel 1986.
«Skoglund fu un fantasista eccezionale, tra i più grandi del suo tempo. Rummenigge era una macchina da gol, avrebbe fatto comodo a qualsiasi squadra».

Dica, è vero che «Nacka» lanciava in aria una monetina, la colpiva col tacco e questa terminava la propria parabola nel taschino della sua giacca?
«Verissimo: gliel'ho visto fare, ed in più di una occasione».

Ora, veniamo a lei. Come nacque la celeberrima «foglia morta»?
«Da ragazzo, quando giocavo nel San Michele, c'era Nereo Marini ad allenarmi: aveva intuito le mie potenzialità, e così, al termine di ogni seduta, trascorrevo un'oretta in più sul campo per migliorare in questo fondamentale. Avevo un buon piede, ma ho anche lavorato moltissimo per conseguire tali risultati».

Restando in tema di foglie morte: 7 marzo 1971, Inter-Milan 2 a 0. Lei segna il secondo gol, ovviamente su calcio di punizione, e lo scudetto inizia a colorarsi di nerazzurro, dopo che il Milan era arrivato ad avere anche 7 punti di vantaggio in classifica. Questa la sua punizione-gol più importante?
«A pari merito con quella segnata nel ritorno della semifinale di Coppa dei Campioni del '65, contro il Liverpool. Dopo il 3-1 subito ad Anfield, nella partita di ritorno vincemmo 3-0: io aprii le marcature dopo 8 minuti».

Il gol che ricorda con maggiore affetto, però, presumo sia quello segnato contro l'Independiente nello spareggio dell'Intercontinentale '64. Sbaglio?
«No, non sbagli. A quel tempo, la Coppa Intercontinentale era un trofeo prestigiosissimo, e segnare il gol decisivo in finale era un evento di cui andar fieri».


Antonio Giusto

Fonte: Calcio 2000

domenica 11 dicembre 2011

Mi prendo una pausa

A causa di alcune cose lette, viste e sentite, la voglia di parlar di calcio è venuta meno. Pubblicherò un paio di articoli destinati a Calcio 2000 (uno sul numero in edicola, un altro su quello in uscita) e poi il blog chiuderà i battenti a tempo indeterminato.

giovedì 8 dicembre 2011

Calcio d'angolo - Quando conta l'esperienza

Champions League: Borussia Dortmund - Olympique Marseille, Ilkay Guendogan


Clamorosamente ricchi di sorprese (Manchester fuori, intesa come città) e polemiche - ah, la Dinamo Zagabria e i suoi occhiolini - si è conclusa ieri la fase a gironi della Champions League. Era ora. Anche se per i tanto agognati ottavi di finale ci tocca attendere la metà di febbraio. Io però, anziché lanciarmi in avventati pronostici sugli accoppiamenti, voglio porre l'attenzione su quelle che - a mio modestissimo parere - sono state le due più grandi delusioni di questa prima parte dell'annata calcistica europea. E no, non mi riferisco al declassamento in Europa League di Mancini e Ferguson, e neppure alla prematura eliminazione del Porto che fino a sei mesi fa incantava il continente con il suo calcio lussureggiante.

Parlo invece di Lilla e Borussia Dortmund, la «peggio» gioventù d'Europa. Un anno fa, di questi tempi, entrambe prendevano coscienza del fatto che l'idea di vincere il campionato non era poi così stramba: qualche mese più tardi, difatti, erano loro a far festa, addirittura doppia per i biancorossi, capaci di mettere in bacheca anche la Coppa di Francia. Sui giornali ed in televisione, largo alle imprese di Götze e Hazard, Gervinho e Şahin, ed al gran calcio espresso dalle squadre allenate da Klopp e Garcia. Inutile dire che in moltissimi - tra cui il sottoscritto - le pronosticavano tra le possibili sorprese della Champions League che sarebbe venuta.

Dopo un'ultima notte vissuta col fiato sospeso, alla ricerca di una rocambolesca combinazione d'eventi necessaria per superare il turno, eccole fuori. Dall'Europa: neppure capaci di agguantare il terzo posto, e con esso la consolazione dell'Europa League. Le ragioni? Qualcuno potrebbe parlare di una campagna estiva che ha privato entrambe di un gioiello: Şahin è finito al Real Madrid per un tozzo di pane, mentre Gervinho ha scelto l'Arsenal di Wenger. Gündoğan e Perišić, Payet e Joe Cole, hanno però rispettivamente sposato le cause di Borussia Dortmund e Lilla: non sempre «Two is megl che One», ma di sicuro è meglio di niente.

Motivo dell'eliminazione, secondo me, un'esperienza pressoché assente in entrambe le squadra, eppure necessaria a questi livelli. Rimonte su rimonte subite da un Lilla incapace di amministrare il vantaggio, una sola - ma tremenda - quella incassata dal BVB: contro il Marsiglia, nell'ultimo turno, si è passati dal 2-0 al 3-2, in casa propria, incassando due gol a cavallo tra l'85esimo e l'87esimo. Che l'esperienza conti, poi, lo hanno dimostrato anche le italiane: per una volta, siamo gli unici ad aver raggiunto i quarti con tutte le nostre rappresentanti. Che, all'inizio della competizione, occupavano primo (Milan), terzo (Inter) e quinto (Napoli) posto nella classifica delle squadre più vecchie presenti al via della Champions League. Intruse, l'APOEL Nicosia e lo Zenit San Pietroburgo, rispettivamente seconda e quarta: anche loro agli ottavi, a discapito delle favorite - almeno secondo il coefficiente UEFA - Porto e Shakhtar Donetsk.


Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

martedì 29 novembre 2011

Calcio d'angolo - Il miglior Zlatan d'Italia

Zlatan Ibrahimovic - Milan (Getty Images)


Cento e lode, per l'Ibrahimović bianconerazzurrossonero in Serie A. L'atroce neologismo sta ad indicare che, Zlatan, i suoi 101 gol li ha suddivisi tra Juventus, Inter e Milan. 56 di destro, 16 di sinistro, 10 di testa, 16 su rigore, 3 su punizione, 50 in casa, 51 in trasferta: uno più bello dell'altro. Sull'importanza, non sto a sindacare, perché - sino al confine, non oltre - di gente più decisiva di lui alle nostre latitudini non se ne vede da tempo. Ma qualcosa su cui discutere, per fortuna, c'è: Zlatan Ibrahimović da Rosengård, sobborgo di Malmö, con quale maglia italiana ha dato il meglio?

La prima indossata, quella della Juventus di Moggi e Capello, ci ha forse regalato - di sicuro, secondo il sottoscritto - lo Zlatan più selvaggio, anarchico e di conseguenza spettacolare. Pesava 10 chili in meno di oggi, ubbidiva alla sola legge della strada (applicata al calcio: dribbling, scaramucce e molto altro) e segnava con una costanza sin lì sconosciuta: 16 gol, quanti Mauro Esposito, due in più del capitano Alex. Capello gli intima di sorbirsi - secondo la concezione zlataniana, per me il divino Marco può essere unicamente ammirato - le videocassette di van Basten, lui preferisce ascoltare Raiola: mugugni, e Calciopoli scatena un derby meneghino.

Lo vince l'Inter, nei minuti di recupero. Zlatan glissa sugli scudetti vinti, persi, di cartone o chissà di che altro, e svela: qualche anno prima, sognava la maglia nerazzurra, la stessa di Ronaldo. Ruffianata? No, date un'occhiata qui: http://www.youtube.com/watch?v=jIELSA1ss6s, allo scoccare del sesto minuto. Ora, parola al campo. Nel suo regno, coltiva l'hobby degli scudetti, bisticcia con Mancini e s'innamora di Mourinho. Evolutosi in centravanti - per nulla classico - infila portieri con disarmante facilità, come e quando gli pare: capocannoniere. Del calcio del 2009, però, è stufo: va al Barça, a giocare quello «del 2015». Sappiamo tutti com'è andata a finire.

Il mesto ritorno a Milano dopo l'annataccia catalana lo porta sulla sponda rossonera del capologuogo lombardo. Chi vi ricorda? Sì, proprio il suo idolo Ronaldo. Al Milan, ecco un nuovo, ennesimo Zlatan. Puledro di razza, faticosamente domato, con la maglia della Juventus, all'Inter aveva monopolizzato gioco, gol e scudetti; adesso, a cavallo dei trent'anni, si scopre leader come non mai. Parla, spesso troppo, mai a sproposito, e sfida il colossale Onyewu: l'unico difensore contro cui ha avuto la peggio in Italia. Quest'anno, con ancora qualche giorno di novembre davanti, ha segnato la metà dei gol messi a segno in campionato nella scorsa stagione, giocando però meno di un terzo delle partite, e pareggiato il conto in Europa. Che sia l'anno buono? Uhm...

Dopo tre paragrafi d'analisi, ecco il mio responso alla questione iniziale: il miglior Ibrahimović s'è visto sotto Mourinho, nell'ultima Inter con due Coppe dei Campioni in bacheca. Dominante a dir poco, spietato sotto porta, effettivamente nullo in Champions League ma pur fuori controllo in Serie A. Una gioia per gli occhi, roba da metter da parte la propria fede calcistica.


Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

domenica 20 novembre 2011

Calcio d'angolo - È ora di fare «mea culpa»

EPL- Manchester United v Manchester City, Wayne Rooney

Tornato il calcio, quello da tre punti, dopo le barbose amichevoli internazionali, ecco la consueta marea di spunti disseminati per l'Europa. C'è un Rooney che ha smarrito la via del gol: l'ultimo oltre un mese fa, a Galați contro l'Oțelul, mentre in Premier League è a secco dal 18 settembre (3-1 al Chelsea). In Germania, Götze e Reus stanno esplodendo fragorosamente. Ed il Valencia, nella Liga, dà filo da torcere al Real Madrid; Mourinho, a cavallo del fido destriero... Callejón, mantiene però la vetta della classifica. Guardando al nostro orticello, salta invece agli occhi la gran prestazione del mio pupillo Coutinho.

Scriverei volentieri del riccioluto fantasista nerazzurro, ma il doppio zero-a-zero «regalatoci» da Napoli e Lazio al San Paolo e Fiorentina e Milan al Franchi mi induce a riflettere. E, soprattutto, fare «mea culpa». Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa, perché all'alba del campionato parlavo di Serie A(ll'attacco!). Oltre a pronosticare il Cesena di Giampaolo come sorpresa stagionale. Eccovi le prove: Calcio d'Angolo - La nuova Serie A(ll'attacco!).

Dando un'occhiata alle statistiche, è facile rendersi conto della mia errata previsione. 101 partite disputate, 242 gol segnati appena. La bellezza - sì, come no - di 14 incontri terminati a reti inviolate, e una media gol che è la più bassa dal ritorno - anno di(s)grazia 2004 - della massima serie a 20 squadre. A me, che m'ero illuso al tramonto dell'estate di potermi godere un campionato perlomeno ricco di gol, non rode poi più di tanto per l'errata previsione, ma soprattutto a causa di un campionato il cui livellamento verso il basso è sempre più evidente.


Antonio Giusto


Fonte: Goal.com

domenica 6 novembre 2011

Calcio d'angolo - Ibra e gli scolaretti di Guardiola: a conti fatti, gli sarebbe convenuto studiare di più...



Jag är Zlatan Ibrahimović. Io sono Zlatan Ibrahimović. E voi chi cazzo siete? No, non siamo nello spogliatoio dell'Ajax all'alba del terzo millennio - anche perché questo leggendario siparietto non è mai effettivamente avvenuto - ma sugli scaffali di una qualsiasi libreria: l'uscita dell'autobiografia di Zlatan è imminente. Non chiedetemi di cosa si parli, perché non l'ho - ancora - letta, ma sui giornali non si parla d'altro che dell'odio viscerale nutrito dallo svedesone nei confronti di Pep Guardiola. La principale - forse unica - causa del suo fallimento in blaugrana, secondo Zlatan.

Che, va detto, era arrivato a Barcellona in cambio di Eto'o ed una vagonata di milioni: attendersi che tenesse i piedi per terra era quantomeno ardito, visto il caratterino del figlio di Rosengård. Smanioso com'era di metter le mani sulla Coppa dei Campioni giocando quello che lui stesso aveva definito «il calcio del 2015», Zlatan si sente dire che bisogna mantenere un profilo il più basso possibile. E lasciare il garage Ferrari e Porsche: sacrilegio!, pensa lui, che candidamente dichiara di aver toccato i 325 km/h al volante. Con la polizia alle calcagna, sia ben chiaro.

Poi, c'è Leo Messi. Il cocco della maestra, lo scolaretto - da 202 gol in 287 partite, al 4 novembre 2011 - che chiede di giocare centravanti: lì c'è Zlatan? Guardiola se ne infischia, e asseconda l'argentino che la butta dentro 34 volte (record personale) nella sola Liga. Il mondo si capovolge, per Ibra: non gira più tutto attorno a lui, gira tutto e basta. Attorno al pallone, agli avversari, alle invezioni di Xavi, le magie di Iniesta ed i gol di Messi. Non i suoi, che col tiqui-taca non c'entra assolutamente nulla. La butta dentro, per carità, anche se meno di un debuttante Pedro, ma sbaglia tanto, troppo, davanti alla porta e lontano da essa. Contro il Villarreal finisce in panchina, e Pep gli regala cinque minuti appena: «Mister!», «Sì?», «Vaffanculo».

Contorno dal sapore speciale, anzi, Special: «Sei senza coglioni, ti caghi addosso davanti a Mourinho. Rispetto a lui non vali un cazzo». Questo l'aggiunge Zlatan, io aggiungo che: Mourinho era stato «tradito» da Zlatan, fuggito in Spagna alla ricerca di un successo continentale che - a suo dire - l'Inter non avrebbe mai potuto garantirgli; lo stesso Mourinho, in quel fausto (per i tifosi interisti) 2009-10, fece fuori il Barça in semifinale di Champions League. Una volta rispedito al mittente - ovvero, la Serie A - il pacco-Ibrahimović, ecco di nuovo Pep e la sua classe di bravi scolaretti in cima all'Europa.

A conti fatti, quindi, è Zlatan quello che è tornato in Italia con la coda fra le gambe. Quelli lì, invece, sono ancora i più forti del globo. La filosofia di Guardiola paga, come confermato dagli scolaretti. Secchioni, forse, ma anche a Ibrahimović sarebbe convenuto studiare un - bel - po' di più.

Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

venerdì 4 novembre 2011

Fai un gol per la ricerca con ChampionsVille!



ChampionsVille è il nuovo gioco su Facebook di AIRC dedicato al calcio, realizzato in occasione della Giornata per la Ricerca sul Cancro 2011.

Fai anche tu un gol per la ricerca! Entra nello stadio di AIRC accolto da Fabio Caressa, che ti aiuterà nelle varie fasi di gioco, allenati e poi inizia subito la partita.

L’obiettivo è quello di fare più gol possibili nel tempo a disposizione, così da salire in vetta alla classifica del campionato AIRC. I primi dieci con il punteggio più alto potranno vincere il pallone ufficiale della Serie A autografato da Del Piero, Pato e Zanetti.


Gioca a ChampionsVille, condividi il risultato della partita sul tuo profilo Facebook e sfida i tuoi amici! Fai un gol per la ricerca!

giovedì 27 ottobre 2011

Calcio d'angolo - Arriva il vento del Levante

Liga BBVA: Levante-Real Sociedad: Valmiro Lopes 'Valdo'

Real Madrid o Barcellona, Barcellona o Real Madrid. Di solito Barça. Spanish Premier League. Quest'anno, però, le cose vanno meglio del previsto: a Valencia, soffia piacevole una brezza. Vento di Levante, vento del Levante: aria nuova per una Liga ormai divenuta sinonimo di «diarchia». Primo in classifica con 23 punti, imbattuto, Real Madrid (sconfitto 1-0 alla quarta giornata) e Barcellona sono - per ora - costretti ad inseguire. Io, personalmente, mi auguro che quest'inseguimento duri il più a lungo possibile, e - magari - aggancio e sorpasso non si concretizzino mai.

Un sogno, solo un sogno. Già contro la Real Sociedad, c'è voluto un «zurdazo» di Rubén, da 40 metri e ormai tre minuti oltre il novantesimo, per conservare il primato in graduatoria. Prima o poi, Juan Ignacio Martínez e i suoi uomini si sveglieranno, o verranno svegliati dalla furia dei due cannibali plurimilionari. Intanto, godiamoci quest'avvio e sfruttiamolo per una saporita rievocazione.

Siamo nel 2002-03, e a San Sebastián si forma una strana coppia. Darko Kovačević, centravanti serbo originario della Voivodina, dopo tre stagioni spese in Italia (Juventus e Lazio, senza lasciare un ricordo indelebile) fa ritorno nei Paesi Baschi. All'«Anoeta», Darko fa la conoscenza di Nihat Kahveci. Turco, smilzo, 23 anni neppure compiuti ed un semestre trascorso a San Sebastián prima di andarsi a conquistare il terzo posto ai Mondiali nippocoreani. Raynald Denoueix, l'allenatore francese, reduce da titoli vari con il Nantes in Ligue 1 oltre che dall'amaro esonero, vede scoccare una scintilla: 43 gol in due, 23 a 20 per il turco, ed il 15 giugno 2003 ci sono loro in testa alla classifica. È la trentasettesima giornata, la penultima. Il Celta Vigo, in lizza per il quarto posto che significherebbe Champions League per la prima volta nella storia della società, vede piombarsi in casa la strana coppia. Mostovoi è spietato, segna due gol e - mentre il Real fa a polpette l'Atletico nel derby, 4-0 - costringe Nihat (doppietta anche per lui, quella notte) e compagni a vedersi scavalcare dagli allora «Galacticos». Una settimana dopo, gli «Zidanes y Pavones» vincono il campionato.

Son sicuro che, a Levante, firmerebbero comunque per vivere una stagione simile a quella Real Sociedad. Doloros(issim)o epilogo compreso.


Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

domenica 23 ottobre 2011

Calcio d'angolo - Balotelli porta il fuoco in campo, Mancini li sa far giocare: il City non è più solo un'accozzaglia di campioni

EPL - Manchester United v Manchester City,Edin Dzeko and Aleksandar Kolarov


Fuochi d'artificio, in casa ed anche sul lavoro, per Mario Balotelli. Prima rischia di mandare in fumo se stesso e la lussuosa villa di Macclesfield in cui risiede, poi brucia sul tempo i difensori del Manchester United nel derby cittadino e sigla una doppietta. La partita prende una strana piega, anche a causa dell'espulsione di Evans - provocata da Balotelli, of course - e alla fine il tabellone dice 6-1 per la metà «blue» di Manchester. Che ora, oltre che ricca, è pure la più seria candidata alla conquista del titolo in Premier League. Ma lasciate che mi spieghi, dato che siamo al 23 di ottobre e di gol e parate e calci di rigore ed espulsioni ne vedremo una miriade, da qui al termine della stagione.

La ricchezza, dello sceicco Mansour e consueguentemente della rosa, innanzitutto. Il rapporto tra qualità e quantità dei calciatori a disposizione di Roberto Mancini non ha eguali, neppure il Barça «illegale» - non per Javi Varas, poliziotto coi guantoni - può vantare un tale numero di campioni. Certo, può capitare che Fàbregas assaggi la panchina, ma se in difesa Piqué e Puyol mancano, son guai per Guardiola... Forse solo il Real Madrid può vantare un simile numero di campioni con indosso la stessa, stupenda maglia (in special modo quella nera con rifiniture dorate, sfoggiata nel massacro de «La Rosaleda»), ma gioca in un campionato differente, ed il City pare ancora acerbo per puntare alla Champions League.

Difatti, io mi son limitato al campionato inglese. Perché se è vero che una volta varcato il Canale della Manica i Citizens vanno sistematicamente in svantaggio (tre su tre nel girone eliminatorio), in casa loro fanno la voce grossa. E le avversarie non fanno più così paura. Liverpool ed Arsenal, cui di grande rimane ormai - purtroppo - il solo nome, sono più vicine alla zona retrocessione che alla vetta della classifica. Al cui inseguimento, ecco Manchester United e Chelsea. I primi, son partiti col freno a mano tirato anche in Europa: due pareggi, il secondo agguantato per i capelli in Svizzera, e una vittoria di rigore contro l'Oţelul Galaţi; il Chelsea, che pure si gode la Champions, ha già accumulato 6 punti di ritardo in campionato, e i nervi paiono parecchio tesi, a giudicare dalla doppia espulsione rimediata nel derby londinese con il QPR, perso 1-0.

Infine, il gioco. Mancini, che pure da noi è ricordato più per il mediano (Stankovic, solitamente) travestito da rifinitore posto in pressione sul regista avversario, ha dato a questa squadra un'identità tattica precisa. Il gol dev'essere il coronamento di un azione, non frutto di casualità. E l'azione, vista la qualità degli intrepreti - Silva, che gioia per gli occhi - e gli investimenti dello sceicco, dev'essere quanto più bella possibile. Sin qui, risultati e fatti stanno dando ragione al tecnico. Che, se le mie previsioni sono esatte, tra qualche mese potrà festeggiare il primo successo in Premier League.


Antonio Giusto


Fonte: Goal.com

martedì 18 ottobre 2011

Calcio d'angolo - A Napoli manca sempre uno per fare trentuno

Walter Gargano - Napoli (Getty Images)

Stasera c'è il Bayern Monaco di scena al San Paolo, record d'incasso (circa 2 milioni e mezzo di euro, biglietti esauriti con largo anticipo) e persino 100 bagni chimici installati per l'occasione, proprio come vuole l'UEFA. Ma Francesco non sarà presente allo stadio. Tra gli oltre 60mila che sono riusciti ad accaparrarsi un biglietto per l'attesissimo incontro, lui non c'è: io, che ho raccolto il suo sfogo, vi racconto come mai.

«La notizia della vendita scaglionata dei biglietti mi aveva piacevolmente sorpreso», mi racconta, poi, dopo un riferimento a Napoli-Liverpool della scorsa Europa League, riprende: «niente code chilometriche, chi è interessato ad un determinato settore ha vita facile. Convinto che le cose siano destinate ad andare così, per un giorno rinuncio all'università e mi reco in ricevitoria». Che giorno è? Martedì 11 ottobre, quello in cui, teoricamente, si apre la vendita dei biglietti per i «distinti superiori»: dopo ore di fila, figlie anche del malfunzionamento dei terminal, è turno di Francesco. Il quale, oltre a scoprire che i biglietti per il settore agognato sono già terminati, si becca una sonora risata in faccia, contornata dalle seguenti parole: «I biglietti per i "distinti superiori" li stiamo stampando da questa notte, è ovvio che siano esauriti». Francesco chiede allora delle curve, per i biglietti dovrebbero teoricamente essere messi in vendita dal giorno successivo; la risposta, è di quelle che fan cascare le braccia: «Finiti anche quelli», e un'altra risata.

E qui Francesco mi mette al corrente di una verità scomoda: era sufficiente «prenotarsi», ovvero presentarsi in tabaccheria con qualche giorno d'anticipo e cinque euro di «bonus» per prenotare in tranquillità biglietti che sarebbero poi stati stampati mentre l'interessato dedicava il tempo che le infinite code gli avrebbero rubato a qualcosa di più edificante. Qualcuno obietterà che si tratta di voci, ma anche a Francesco - che non è un nome di fantasia - è capitato di ricorrere a quest'espediente: contro l'Udinese, nello scorso campionato, acquistò ben sei biglietti con due settimane d'anticipo e cinque euro di quello che mi sono permesso di chiamare «bonus». Il tutto senza mostrare alcun documento, né sentirsi dire che di biglietti se ne può acquistare uno a testa.

Riepilogando: record d'incassi per il Napoli, e San Paolo esaurito. Si preannuncia una magica notte di calcio, al sapore di Champions League, e Francesco sarà a casa sua. Così come molti altri tifosi che - qualcuno direbbe: ingenuamente - si son sorbiti ore e chilometri di fila, per ritrovarsi con un pugno di mosche. A Napoli manca sempre uno per fare trentuno.

Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

domenica 16 ottobre 2011

Calcio d'angolo - L'Interaccia, scritta di getto

Giampaolo Pazzini - Inter (Getty Images)

Scrivo di getto, dopo l'ennesima sconfitta subita dall'Inter. L'«impresa», ché ormai va virgolettata, è del Catania, ma forse di impresa (interista) si sarebbe trattato in caso di vittoria, ecco. Cambiasso e il suo gol sono un'illusione, così come i 6 punti messi in cascina da Ranieri nelle prime due uscite: una scossa lievissima, buona giusto per risollevare gli animi dei più ottimisti ed occupare le prime pagine dei quotidiani sportivi. Una volta tornati al lavoro dopo la sosta, con un Forlan in meno, ecco la nuova-vecchia Inter.

L'impressione, che l'andare del calendario stra tramutando in certezza, è che la colpa non fosse esclusivamente di Gasperini. Né di Ranieri, che pure sta provando a plasmare la squadra. Ecco, la squadra: è stanca. Stanchissima, sia psicologicamente che sul piano fisico, e guardando la carta d'identità non potrebbe essere altrimenti. Al Cibali, dove un'Inter allo sbaraglio non fa più clamore, si è - per l'ennesima volta - ammirato un triste spettacolo: una volta in svantaggio, la fioca reazione di quelli con la banda trasversale nerazzurra sul petto serve solo a mortificarne i tifosi.

Tifosi, ed opinionisti vari, che dopo la débâcle figlia dell'errore di Rocchi si erano scagliati contro la classe arbitrale, si ripeteranno probabilmente all'indirizzo di Orsato, reo di aver estratto dal taschino - anziché dal canonico cilindro - un rigore, corredato dall'ammonizione di Castellazzi, che definire «dubbio» è eufemistico. I fantasmi di Calciopoli torneranno ad aleggiare in radio e tv, ma fino ad un paio d'anni fa l'Inter, anche se ridotta in 9 per 45 minuti, vedeva il proprio condottiero mimare le manette e la propria porta rimanere inviolata, anche contro la Samp (quarta a fine campionato, mica bruscolini) di Delneri, quella di Cassano&Pazzini insomma, anche se Cassano quella sera lì non era in campo. Ecco, quell'Inter tirava fuori gli attributi e, in un modo o nell'altro, raggiungeva il proprio obiettivo anche se penalizzata dall'arbitro.

Tornando al campo, ed anzi virando in panchina, i più catastrofici giù pregustano una riedizione della tragicomica campagna '98-99: Simoni, Lucescu, Castellini ed infine Hodgson si avvicendarono su una panchina incredibilmente scomoda. Al 15 ottobre del 2011 siamo a due, Gasperini e Ranieri: più allenatori che vittorie, non è un buon segno. Che Interaccia.
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Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

lunedì 3 ottobre 2011

Calcio d'angolo - Prandelli mi ha sorpreso. In negativo

Cesare Prandelli - Italy (Getty Images)

Più provinciale che mai, la Juventus di Conte ha stregato tutti. Prandelli compreso. Prima di passare alle convocazioni del cittì, «finalmente» discutibili, una breve parentesi bianconera. Perché questa squadra, che corre quanto un Novara qualsiasi - senza nulla togliere al Novara - e guida la classifica come quando in panchina c'erano Lippi o Capello, e dietro la scrivania qualcuno che evito di citare perché di tuffarmi in polemiche decrepite non ho voglia.

Ritornando sul rettangolo verde, i dubbi su questa Juventus - che vuole e può diventare grande - sono legati prevalentemente alla tenuta fisica della squadra: a Pirlo pare sia stato impiantato un terzo polmone, mentre Marchisio si è svegliato dopo un biennio di profondo sonno, e Vidal sta confermandosi sugli elevatissimi livelli raggiunti in Germania (dove, però, andava in doppia cifra). Finché avranno fiato loro, così come gli esterni - Pepe e Giaccherini meglio di Krasic ed Elia, sin qui - la Juventus potrà continuare a rincorrere un piazzamento onorevole, perché lo scudetto non è ancora alla sua portata, nonostante il discreto vantaggio sin qui accumulato sulle deludentissime milanesi.

Veniamo a Prandelli, che ha trapiantato in Nazionale ben sei juventini: Buffon, Pirlo, Marchisio, Chiellini, Barzagli e Bonucci. Quest'ultimo, assieme a Cigarini, rappresenta la modesta novità per un allenatore che per la prima volta snobba il campionato ed i suoi verdetti. Uno su tutti: dopo averci illuso, poco più che ventenne nel Pisa di Ventura, Alessio Cerci è finalmente diventato grande. In tutti i sensi, perché a 24 anni sta finalmente esprimendo il proprio potenziale, spaccando partite e macinando chilometri e infilando portieri con la maglia della Fiorentina, cui ha sin qui regalato 4 gol in 6 partite tra campionato e Coppitalia. All'ala destra, nel 4-3-3 che inizialmente Prandelli sognava, non sfigurerebbe di certo, e Cassano o Balotelli non darebbero di matto - anche se, con due così, il rischio c'è sempre - se dovessero ritrovarsi ad agire qualche metro più in là.

Il gradito e meritato ritorno di Barzagli, infine, è motivato da un avvio di campionato decisamente fruttuoso per il difensore centrale toscano, mentre la presenza del collega e compagno di spogliatoio Bonucci stupisce per il motivo opposto: una partita appena giocata per intero, contro il Milan, e neppure senza sbavature. Bocchetti, autore di una curiosa doppietta russa, si perplime. Lo stesso vale per Campagnaro, «nuovo italiano» come Schelotto - che inizio con l'Atalanta!, e può coprire l'intera corsia destra - neppure preso in considerazione da Prandelli. Che, per una volta, è riuscito a sorprendermi. In negativo.


Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

domenica 2 ottobre 2011

Calcio d'angolo - I cinquant'anni di Mazzarri

Walter Mazzarri - Napoli (Getty Images)

Se gli avessero detto che il più bel regalo per i cinquant'anni gliel'avrebbe fatto un arbitro, proprio a lui che con chi usa il fischietto non ha mai avuto un rapporto idilliaco, sono certo che vi avrebbe mandato - neppure troppo cordialmente - a quel paese. Eppure, Gianluca Rocchi da Firenze, che non è l'ultimo arrivato: oltre 100 partite dirette in A ed un cartellino munito di passaporto dal 2008, ha omaggiato Walter Mazzarri ed il suo tutt'altro che bisognoso Napoli di un rigore inesistente, condito dall'opinabile espulsione di Obi. Il tutto dopo 40, gradevolissimi minuti di gioco, durante i quali le squadre si erano affrontate a viso aperto, mantenendo le promesse di una gara avvincente. Poi, sopra di un gol ed un uomo, il Napoli ha azzannato la partita alla giugulare, uccidendola lentamente ed incrementando in vantaggio grazie al pisolino di Nagatomo.

Il mio scopo principale, però, non è quello di criticare l'operato di Rocchi: ci penseranno le infinite e spudorate moviole, stavolta per molto più della canonica settimana, data la sosta del campionato e la penuria di spunti. A me va semplicemente di fare i complimenti a Mazzarri, il cui Napoli si trova ora in vetta alla classifica - in attesa di Udinese e Juventus, va precisato - con 10 punti, perché l'operato del tecnico toscano diventa sempre più incredibile.

Due anni fa - giorno più, giorno meno - un Napoli sostanzialmente identico a quello sceso in campo ieri sera, che però vanta un Inler in più, aveva racimolato la miseria di sette punti in altrettante partite, sotto la guida di Donadoni. Oggi, ecco Mazzarri e la squadra che ha potuto plasmare a propria immagine e somiglianza calcistica in vetta alla classifica della Serie A, con un complessivo 6-1 inflitto alle milanesi e la crescente convinzione che la formazione favorita per la scudetto sia proprio quella con la «N» sul petto.

Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

martedì 27 settembre 2011

Mattia Destro: gli bastano 6 minuti

Mattia Destro, 20 anni. Ansa


6 minuti. Pochi? Non per Mattia Destro, cui solitamente bastano per entrare nel cuore dei suoi nuovi tifosi. Oggi del Siena, ieri del Genoa, ma la solfa è sempre la medesima: l'allenatore - Gasperini in rossoblu, ora Sannino - gli regala fiducia e soprattutto una maglia da titolare, lui lo ricambia nell'unico modo che conosce. Facendo gol, ovviamente al sesto minuto.

Un anno fa, col grifone sul petto, tra l'esordio in Serie A e la prima esultanza trascorsero 360 secondi. Contro il Lecce, idem: squadre in campo, sei giri di lancetta ed eccolo incornare il cross di Gaetano D'Agostino e sfilarsi la maglietta. Sin qui, copione identico, poi le cose cambiano. Perché, a differenza di quanto accaduto nel giorno del debutto, arriva la vittoria: 3-0, con doppio sigillo - il secondo morbidissimo - di Calaiò.

Figlio d'arte, dal papà Flavio - che difese i colori, tra le altre, di Ascoli e Cesena - ha però ereditato ben poco: arcigno difensore il padre, goleador puro il rampollo. Che però non si limita a gonfiare le reti, come dimostrato a suon di dribbling (l'espulsione di Esposito porta la sua firma) e assist (Calaiò ringrazia) e corsa (Sannino sorride) contro il Lecce. Vent'anni compiuto a marzo, a Mattia Destro occorre tempo per affermarsi. E, almeno stavolta, non gli basteranno i consueti 6 minuti.

lunedì 26 settembre 2011

Calcio d'angolo - Il nerazzurro torna di moda

Atalanta celebrating - Atalanta-Novara - Serie A (Getty Images)

Il nero e l'azzurro, abbinati, non sembravano proprio i colori di questa Serie A. Un'Atalanta penalizzata e priva di Doni a causa del calcioscommesse veniva dai più - me compreso, lo confesso - considerata prossima al ritorno in B, mentre l'Inter di Gasperini - che, confesso anche questo, non ho mai amato - arrancava a Pechino come nello Stivale: insomma, l'accostamento non pareva destinato ad avere gran successo in passerella.

Invece ecco due sarti che si rimboccano le maniche, e confezionano nuovi abiti per le proprie indossatrici. Ranieri, a Milano, in fretta e furia: esonerato Gasperini - a proposito: non è stata GasperInter - nel bel mezzo della settimana, si è ritrovato a fare gli straordinari pur di presentare nell'anticipo contro il Bologna un vestito quantomeno decente. Il suo 4-4-2, con Coutinho libero d'accentrarsi fino all'avvicendamento con il più disciplinato Jonathan, magari non esalta le forme della squadra, ma aspettiamo almeno che rientri Sneijder per dare un primo e labile giudizio.

Ecco quindi che il nerazzurro torna di moda, almeno in Lombardia. Perché sessanta e rotti chilometri a nord-est del «Meazza» c'è l'«Atleti Azzurri d'Italia», teatro delle sin qui strabilianti «sfilate» dell'Atalanta. Tre vittorie consecutive, contro Novara, Lecce e Palermo, dopo il pareggio genoano dell'esordio, ed un primato in classifica esclusivamente virtuale, perché in vetta ci sono Juventus e Udinese a quota 8. Senza quel macigno, quei 6 punti in meno, davanti a tutti ci sarebbe un'Atalanta da 10 punti in quattro partite, e qualcuno - scherzosamente, o forse no - parlerebbe di fuga nerazzura.

Dato a Cesare quel che è di Cesare, mi pare doveroso mettere in guardia i sognatori: salvo clamorosi imprevisti, non ci sarà nessun miracolo atalantino. La fruttuosa partenza è stata sapientemente pianificata da Colantuono in estate, a Rovetta, nel corso del ritiro estivo, per garantire alla squadra di scrollarsi di dosso i punti di penalità e sgombrare la mente dai pensieri di rincorsa: il rischio, concreto, è quello di una flessione - o, peggio, un crollo - in prossimità dell'inverno. E se la salvezza non dovesse essere suffragata dall'aritmetica con largo anticipo, le ultime quattro giornate (Fiorentina, Milan, Lazio e Juventus) potrebbero persino risultare fatali per quest'Atalanta.


Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

giovedì 22 settembre 2011

Germán Denis, nerazzurro vincente

http://blog.guerinsportivo.it/wp-content/uploads/2011/09/Gioia-Denis-539x404.jpg

Genoa, Juventus, Udinese: 7 punti, poi il Napoli a 6. E l’Atalanta? Corsara al «Via del Mare» di Lecce, se la parola spettasse al campo si ritroverebbe in vetta alla classifica. Ma a tenere i bergamaschi con i piedi per terra ci sono i 6 punti di penalizzazione. Eppure Germán Denis, che logica e soprannome – «el Tanque»: avete mai visto un carro armato sollevarsi dal suolo? – ha fatto un piccolo strappo alla regola contro il Lecce, undici minuti dopo l’inizio della ripresa: calcio d’angolo, pallone prolungato sul secondo palo, sforbiciata e rete. Ad occhio e croce, credo proprio che Denis verrà perdonato per essersi librato in volo ed aver trafitto Júlio Sérgio. Per la seconda volta.

Basta una rapida occhiata alla classifica dei marcatori, e poi una più attenta a quella generale – occhio quindi all’asterisco che segue il nome dell’Atalanta – per capire che «el Tanque», trent’anni compiuti da neanche due settimane, ha finalmente trovato la propria dimensione italiana. Sfondareti oltre l’Atlantico, in Italia il suo rapporto con il gol era stato sinora parecchio controverso: polveri bagnate in C1 col Cesena, ormai quasi dieci anni fa, discontinuo a Napoli e poi panchinaro ad Udinese. La doppia cifra, miraggio sino a ieri, oggi diventa obiettivo concreto, anche perché sin qui il «19» nerazzurro viaggia al ritmo di un gol a partita.

Pupillo di Pierpaolo Marino, che lo portò a Napoli e ne ha sponsorizzato l’approdo a Bergamo, Denis mastica calcio più o meno da quando ha imparato a camminare: a tre anni appena, papà Gustavo e mamma Alicia lo portarono a segnare i primi gol nel San Martín. Calcisticamente molto precoce, a 16 anni appena arriva il debutto in prima squadra con il Talleres di Remedios de Escalada, con cui ha esordito anche Javier Zanetti ormai quasi vent’anni fa. E proprio con Zanetti condivide la posizione in classifica, ma Denis può bearsi del fatto di aver già regalato sei punti alla propria squadra.

Antonio Giusto

Fonte: Guerin Sportivo.it

lunedì 19 settembre 2011

Calcio d'angolo - Se Roma piange, Milano non ride‏

Massimiliano Allegri - Milan (Getty Images)

Centottanta minuti di campionato non bastano per dar vita ad una classifica sensata, ma un interessante spunto riescono comunque ad offrirlo. Non in vetta, bensì nelle retrovie: Milano e Roma, complessivamente, hanno totalizzato la miseria di quattro punti in otto partite, frutto di un doppio pareggio, per giunta nel duplice incrocio, Milan-Lazio e poi Inter-Roma. Il contorno del punticino varia, a seconda della città e del colore del tifo: i capitolini hanno visto violare l'Olimpico in due occasioni, Cagliari - capolista - e Genoa, mentre le milanesi sono tornate a bocca asciutta dalle insidiose trasferte meridionali di Palermo e Napoli. Identico quindi l'avvio, ma le sue cause ed il prosieguo del campionato sono e saranno di certo differenti.

Per il Milan innanzitutto, la cui partenza stentata non avrebbe dovuto sorprendere i calciofili. Una marea d'infortuni, e poi le squadre di Allegri hanno notoriamente bisogno di qualche settimana prima di carburare: cinque sconfitte consecutive all'esordio sulla panchina del Cagliari nel 2008, un pareggio e tre K.O. un anno più tardi, quindi - escluso il 4-0 rifilato al Lecce nella prima giornata - la sconfitta cesenate e due pareggi al debutto rossonero. Insomma, tra un mese o forse anche prima, ci ritroveremo a celebrare nuovamente le gesta dei rossoneri, che nonostante la batosta subita da Cavani rimangono i più plausibili candidati allo scudetto.

Sull'altra sponda dei Navigli, invece, la situazione è diametralmente opposta: il pareggio strappato alla Roma ha regalato a Gasperini il primo punto sulla nuova panchina. Dopo tre sconfitte. Il caos interista, palesatosi anche in Europa contro i turchi del Trabzonspor (sconfitti in casa dal tutt'altro che temibile Büyükşehir Belediyesi di Istanbul nel turno di campionato successivo allo storico mercoledì di Champions League) non lascia presagire nulla di buono per un campionato che, se le cose non dovessero cambiare, difficilmente verrà concluso sotto la guida di Gasperini.

Neppure nella capitale la situazione è delle più rosee. La Lazio, dopo aver annichilito il Rabotnički in agosto ed essersi ritrovata in vantaggio di due gol a San Siro dopo 21 minuti nella partita inaugurale, ha rallentato contro il Vaslui in Europa League, prima d'inciampare all'Olimpico contro un grintoso Genoa. Reja mugugna, ma il suo dirimpettaio Luis Enrique non può certo stare allegro: dopo lo sgambetto europeo subito dallo Slovan Bratislava, ecco il solito Daniele Conti in gol contro chi l'ha svezzato - suo padre Bruno, ma anche la stessa Roma, seppur in senso esclusivamente calcistico - ed un'ennesima sconfitta.
Il riscatto, però, è possibile per entrambe, e se dalla Lazio ci si può legittimamente attendere quantomeno la conquista di un posto in Europa, alla Roma di Luis Enrique viene semplicemente chiesto di mettere in pratica il proprio, ambiziosissimo progetto. L'augurio è che ci riesca, ma la mia sensazione - purtroppo - è che il tecnico spagnolo non avrà neppure la possibilità di conoscere le prelibatezze della cucina italiana. In special modo il panettone.


Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

La parabola cromatica di Simone Barone



Far gol non è mai stato il suo mestiere. Eppure Simone Barone, affinché del suo ritorno al calcio si accorgessero anche i meno attenti, s'è infilato tra le larghe maglia della difesa stabiese ed ha infilato Colombi: tre a zero, condito dalla sua prima esultanza dopo quasi tre anni. Certo, il peso di questa marcatura sulla classifica del campionato (che vede il Livorno al sesto posto, con 10 punti) è minimo, ma sul morale di Barone avrà di certo una grandissima influenza.

Perché tutti sanno che tra i ventitré «berlinesi» quell'indimenticabile 9 luglio del 2006 c'era anche lui, ma nessuno o quasi è al corrente del fatto che, un anno fa circa, Barone inseguiva un ingaggio sudando assieme ai componenti del Crociati Noceto - Lega Pro Seconda Divisione, ovvero C2 - grazie all'amico Roberto Magnani, centrocampista parmense nato nel '77.

Noceto, diecimila e rotti abitanti in provincia di Parma, offre l'occasione di raccontare un curioso aneddoto legato all'infanzia di Barone. Che, nato a Nocera Inferiore mentre suo padre Michele (attaccante di Parma e Messina negli anni settanta) militava nella Nocerina, raccontava agli amici di esser nato a Noceto anziché Nocera, per rivendicare la propria appartenenza alla tanto amata Emilia. Dove ha mosso i primi passi, calcistici e non, ma che è stato costretto ad abbandonare per togliersi le maggiori soddisfazioni calcistiche.

A Palermo, dove esordisce in Nazionale nel febbraio 2004 sotto la guida di Trapattoni, si ritrova ad indossare la maglia rosanero nel luglio dello stesso anno: 5 milioni d'euro al Parma, in piena crisi, e l'occasione di gudagnarsi un biglietto aereo per la Germania dopo aver perso quello per il Portogallo. La missione riesce, ed Amburgo gli regala due spezzoni di gloria iridata, contro Repubblica Ceca ed Ucraina. Dal gialloblu ucraino al gialloblé stabiese, la parabola cromatica di Simone Barone.

domenica 18 settembre 2011

Calcio d'angolo - Non sarà mai GasperInter/2

Il tecnico dell'Inter Gian Piero Gasperini (Getty Images)

Gasperini, soddisfatto di questo pareggio?
«Indubbiamente sì. Il mio Genoa è venuto a San Siro per giocarsela contro la Roma, pur sapendo di essere inferiore, ed il punto guadagnato è la prova che siamo riusciti nel nostro intento».
E di Muntari, che mi dice?
«Modestamente, l'idea di schierarlo come centravanti è stata mia. Sa, Forlán è un attaccante: non era quello di cui avevamo bisogno per difendere un risultato ottimale come lo 0-0».

Credo che una discussione con Gasperini, tenuta negli istanti immediatamente successivi al triplice fischio di Mazzoleni, si sarebbe svolta pressappoco così. All'allenatore nerazzurro - finché Moratti non si dirà stufo anche di lui - non paiono essere bastati quasi tre mesi per comprendere il pur complicato universo interista: la gavetta di Crotone e gli assaggi di Serie A in salsa genoana vanno necessariamente dimenticati, perché la loro influenza sul suo operato è ancora sin troppo evidente.

La rivendicazione della difesa a tre, quella sì, da me invocata e - del resto - comprensibilissima, non può essere biasimata: contro la Roma, complice la più che discreta prestazione di Júlio César, la porta è persino rimasta inviolata. Bene. Sneijder, invece, continua ad essere sballottato, una volta panchinaro, un'altra ala, quella seguente trequartista, oggi interno sinistro di centrocampo: male. Quantomeno curiosa, invece, la gestione dei cambi, in particolare modo l'automutilazione del centravanti operata a 10 minuti dal termine, sostituendo Forlán con Muntari e lasciando Pazzini ancorato alla panchina.

Il suddetto cambio, che pure ha consentito a Sneijder di operare finalmente sulla trequarti e sfiorare un gol fortunosamente evitato da Kjær, ha finito con lo svuotare l'area di rigore romanista, sporadicamente visitata da Muntari, con Zárate a vagabondare sull'esterno. Forse Gasperini, così come il dirimpettaio Luis Enrique, è rimasto ammaliato da Guardiola, che ai giornalisti dice orgogliosamente: «Giochiamo senza prima punta perché il nostro centravanti è lo spazio». Bell'idea, per carità, ma i tifosi interisti si augurano che il loro allenatore inizi ad imitare quello del Barça anche sul piano dei risultati, perché non credo sia necessario informare voi lettori del risultato di Barcellona-Osasuna.


Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

giovedì 15 settembre 2011

Calcio d'angolo - Non sarà mai GasperInter

Gian Piero Gasperini - Inter (Getty Images)


Non sarà mai GasperInter. Il sentore, niente affatto vago, che l'allenatore nerazzurro - fino a quando? - fosse un uomo morto che anziché camminare siede in panchina, lo si era avuto sin dal giorno (24 giugno, per la cronaca) in cui l'interminabile serie di «no, grazie» incassata da Moratti lo aveva portato ad apporre la propria firma sul contratto. Che, andando avanti di questo passo, finirà per venire stracciato con discreto anticipo sulla data di scadenza.

«Sei partite, sette al massimo», fu la timida richiesta dello spaesato Gasperini, inizialmente illusosi di poter plasmare l'Inter a propria immagine e somiglianza. Siamo a metà strada, 270 minuti di gioco, ed i risultati sono equivalenti al numero di punti conquistati: zero. I dubbi, invece, aumentano di ora in ora, specialmente dopo l'inammissibile sconfitta casalinga rimediata contro il Trabzonspor (in gol Ondřej Čelůstka, un quarto d'ora di Serie A con il Palermo).

La partita con un'annaspante Roma, nell'anticipo notturno del sabato, fugherà ogni dubbio, mettendo forse in fuga Gasperson (così chiamato a Genova, sui Navigli ancora non hanno capito perché). In questo derby tra pericolanti, perché neppure il dirimpettaio Luis Enrique ha mai assaporato la vittoria sulla panchina giallorossa, dovrà però necessariamente saltar fuori di che pasta è fatto Gasperini: integralista no di certo, l'ha detto e dimostrato assecondando il presidente e presentandosi in Champions League con il quartetto difensivo, ma - esonerato per esonerato - che almeno si faccia mandar via pensando con la propria testa. Via di 3-4-3, con buona pace di Sneijder, anch'egli assecondato dopo un quarto d'ora di sgradito vagabondaggio sulla fascia sinistra contro i mediocri turchi, e spazio alle idee che avevano reso il suo Genoa la squadra più divertente d'Italia. Perché, in fin dei conti, è meglio avere rimorsi che rimpianti.


Antonio Giusto


Fonte: Goal.com

martedì 13 settembre 2011

Devis si è Mangia-to l'Inter



L'integralismo di Gasperini, Sneijder in panca, Forlán all'esordio e Zárate a smarrirsi nel 3-4-3. Quante chiacchiere. L'unico interista - di tifo, non di maglia - che alle parole ha anteposto i fatti si chiama Devis Mangia, e siede sulla panchina del Palermo. Da una settimana, o poco più. Eppure Miccoli e la sua banda hanno già assimilato il credo tecnico del nuovo allenatore, cui Vincenzo Montella sottrae il titolo di più giovane della Serie A per dodici giorni appena: 4-4-2, squadra corta, pressing e pure i complimenti di Arrigo Sacchi. Mica male.

Nato a Cernusco sul Naviglio, come - rimanendo in ambito calcistico - Galbiati, Tricella ed il grande Gaetano Scirea, anziché ispirarsi a loro e cercar fortuna in difesa, s'infila i guantoni come suo papà. Ma col calcio giocato chiude presto, dopo aver indossato le maglie di Cernusco ed Enotria, perché ad attenderlo c'è l'università. Qualche esame di giurisprudenza, poi il ritorno sul campo, ma in veste di allenatore: si parte dall'Enotria, ultracentenaria società milanese affiliata all'Inter, e si prosegue con Voghera, Meda, Fiorenzuola e Varedo. Poi, la chiamata di Sean Sogliano sulla panchina del Varese, o, meglio, della Berretti, ma il salto in prima squadra lo porta ad ottenere - appena trentenne - la C2, dopo aver preso le redini della squadra in Eccellenza.

Tritium, Ivrea, Valenzana ed il ritorno a Varese, per allenare una squadra Primavera rimessa in piedi dopo 25 anni. Risultato? In finale, e campioni d'Italia sino al 93', quando Montini infila il 2-2 che porterà l'incontro ai supplementari, decisivi per il completamento della rimonta romanista. Inutile dire che Sogliano, dopo un simile exploit, non può che trascinarsi Mangia ed i suoi metodi - ad esempio, prima degli incontri somministra ai suoi i frammenti più roventi di film come «Il sapore della vittoria» ed «Ogni maledetta domenica» - a Palermo, dove si ritrova alla guida della prima squadra dopo l'esonero di Pioli. Ed ora Moratti, probabilmente, si chiede se non sarebbe stato meglio contattare Mangia anziché Gasperini, quando sulla panchina dell'Inter non voleva sedersi nessuno: oggi è una provocazione, domani chissà.

sabato 10 settembre 2011

Calcio d'angolo - La nuova Serie A(ll'attacco!)

Antonio Cassano and Alberto Aquilani, AC Milan (Getty Images)

Che il buon giorno si veda dal mattino è tutto da verificare, ma noi calciofili non possiamo che augurarcelo. Pronti, via: trentatré minuti di Serie A, quattro gol, con tante grazie a Milan e Lazio per lo spettacolo offerto. E gli spunti di riflessione, ovviamente, si sprecano. Dalle sbavature di Nesta, cui qualcuno consiglierà - ottusamente - di appendere il prima possibile gli scarpini al chiodo, al gol di Klose, cui sono bastati 12 minuti appena per eguagliare il bottino di reti fatto registrare nell'intera Bundesliga 2010-11. Poi l'infido 4-2-3-1 pensato da Reja, con Cissé all'ala per disorientare Abate e l'intera difesa rossonera, i piedacci di Lulić, la ritrovata vena di un Cassano galvanizzato dalla maglia azzurra.

Ma la questione più interessante l'ha sollevata Fabio Caressa, mentre si fregava le mani ammirando la partita: questo campionato, che a detta dell'UEFA vale meno di Premier League, Liga e Bundesliga, e rischia di venir scavalcato anche da Ligue 1 e Primeira Liga, potrebbe - e dovrebbe - regalarci almeno un calcio d'attacco, e conseguentemente lo spettacolo di cui la massima serie era da tempo orfana. Detto di Milan e Lazio, squadre votate all'offesa come ampiamente dimostrato dall'avvincente esordio, grandi e non della penisola si apprestano - chi più, chi meno - a dimenticare il vecchio adagio «primo non prenderle».

Gasperini ed il suo arrembante 3-4-3, con Sneijder e tre attaccanti veri (Forlán, Zárate e Milito, con Pazzini prima alternativa) si augura di ripetere quanto di buono fatto sulla sponda rossoblu di Genova. A Torino, invece, Conte predica il 4-2-4: un mediano che guardi le spalle a Pirlo, due ali ed altrettante punte. La Roma, con Luis Enrique che pensa blaugrana, non poteva esimersi dal 4-3-3, con tre punte strette - non necessariamente Totti più altri due, perché le natiche del capitano assaggeranno la panchina più spesso del solito - e due incursori, oltre a De Rossi. Nulla di nuovo, invece, per Mazzarri: il suo Napoli riconferma il 3-4-2-1, con Pandev e Santana portati in dote dal mercato per far rifiatare Cavani, Lavezzi e Hamšík. Scorrendo la griglia di partenza, balza all'occhio il tridente della Fiorentina, ed ancor più quello cesenate: Giampaolo, che in teoria lotta per salvarsi, punta forte su Mutu, cui affiancare Éder, Ghezzal, Martinez, Bogdani o il promettente Malonga per completare il trio d'attacco, alla cui ispirazione sarà deputato Candreva, senza dimenticare il riconfermato Parolo (5 gol nella scorsa stagione).

Per chi non l'avesse capito, mi auguro un campionato avvincente, ricco di gol e colpi di scena. E pronostico il Cesena come rivelazione stagionale.


Antonio Giusto


Fonte: Goal.com

mercoledì 7 settembre 2011

Calcio d'angolo - Prandelli, ottimo lavoro!

Cesare Prandelli - Italy (Getty Images)

Con sensibile ritardo, s'inizia a sentire profumo di Serie A. Milan-Lazio, che darà - finalmente - il via al campionato, è alle porte, ma una prima gioia a noi calciofili l'ha già regalata l'Italia di Cesare Prandelli: qualificatasi per l'Europeo polacco-ucraino con due turni d'anticipo, come mai era accaduto prima d'ora, e subendo per giunta un solo gol (all'esordio in Estonia, di lì in poi porta inviolata). All'estero c'è chi, troppo buono, ci dà per favoriti, ma al nostro cittì va riconosciuto di essere riuscito nel proprio intento: in tredici mesi trascorsi sulla panchina azzurra, ha cambiato il volto di una squadra reduce dalla magrissima figura sudafricana.

Perché tredici mesi appena sono trascorsi da quando, il 10 agosto 2010, un'Italia impaurita veniva castigata a Londra dalla Costa d'Avorio. Poi il balbettante esordio contro l'Estonia, ed un lento ma sin qui soddisfacente processo di «catalanizzazione», perché il C.T. non vuol sentir parlare del Barcellona invincibile di Guardiola. E fa bene: Xavi, Iniesta, Piqué e Messi ce li hanno solo loro, ma noi - accontentandoci di un materiale umano raramente così povero nella nostra gloriosa storia calcistica - abbiamo imparato a far circolare il pallone, spedendo gli incontristi in panchina, scambiandoci di ruolo a centrocampo e rinunciando alla classico centravanti, quello in grado di far salire la squadra, per dar fiducia allo sgusciante duo composto da Rossi e Cassano. Certo, ieri la partita l'ha decisa Pazzini, che però è entrato in campo per dettare la profondità, mica fare la boa.

Per chiudere, è opportuno snocciolare qualche cifra. Il biglietto per quest'Europeo, innanzitutto, l'abbiamo staccato nell'unico girone in cui erano presenti tre squadre reduci dal Sudafrica. In che modo? Segnando 16 gol, subendone uno appena, qualificandoci con due turni d'anticipo (come la Spagna, campione di tutto) e mantenendo la rete immacolata per ben 7 partite, per giunta consecutive. Forza Italia, continua così, e chissà che chi ci ha indicato come favoriti anziché troppo buono fosse semplicemente realista.

Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

mercoledì 31 agosto 2011

Calcio d'angolo - Il calcio del Barcellona: concetto, non modulo

Thiago Alcantara, Barcelona (Getty Images)

Che i moduli, nel gioco del calcio, non contassero poi moltissimo, credo fosse evidente a tutti. Certo, alcuni integralisti del 4-3-3, maniaci del 4-4-2 e fanatici del 3-4-3 sono ancora a piede libero e popolano le panchine di mezzo mondo, ma quanto accaduto ieri sera al Camp Nou - Barcellona-Villarreal, 5 a 0 - si può tranquillamente equiparare alla celebre «bi-zona» di Canà. Ma se il 5-5-5 della Longobarda prevedeva l'utilizzo di cinque attaccanti ed altrettanti difensori, quello che sul campo pare anch'esso un 5-5-5 messo in pratica da Guardiola si basa sostanzialmente su di una decina di centrocampisti. Anche se contro Giuseppe Rossi - pagherei di tasca mia pur di rivederlo in Italia - ne sono stati impiegati «appena» otto.

Tra il serio ed il faceto, ecco spiegato come nei pressi della Sagrada Família il calcio sia solo ed esclusivamente un concetto, mai e poi mai un modulo. Perché il 3-4-3, balbuziente omaggio al Dream Team di Cruijff secondo alcuni, altro non è che uno specchietto per le allodole. Privo di cinque difensori, Daniel Alves, Maxwell, Adriano, Puyol e Piqué, Guardiola ha conservato il tridente (composto da Sánchez, Messi e Pedro) e consentito a Víctor Valdés di eguagliare Andoni Zubizarreta per numero d'incontri (410) trascorsi a difesa dei pali del Barça, poi ecco Abidal e sei centrocampisti dal primo minuto: Mascherano, Busquets ed i loro piedi poco educati retrocessi in difesa, con Keita presunto interdittore, Thiago Alcántara ed Iniesta mezze ali e Fàbregas vertice alto del rombo. E visto che La Masía gli ha regalato, ad un decennio di distanza l'uno dall'altro, anche Xavi e Jonathan dos Santos, ecco scendere in campo anche loro nella ripresa. Centrocampisti utilizzati in totale: 8.

Di ribadire il risultato dell'incontro e la caratura di un avversario che anche quest'anno disputerà la Champions League, non mi pare il caso. Ma di elogiare nuovamente, per quest'ennesima ragione, Guardiola e la sua straordinaria squadra, sì.


Antonio Giusto


Fonte: Goal.com

venerdì 26 agosto 2011

Calcio d'angolo - Io sto con Luis Enrique



Luis Enrique ha commesso un grave, gravissimo errore. Sostituire Totti contro lo Slovan Bratislava? No, scegliere l'Italia per mettere in pratica il proprio - intrigante - progetto di calcio. Basato, manco a dirlo, sui sacri dettami della scuola blaugrana: palla a pelo d'erba, due tocchi al massimo, tanto movimento, il tutto teoricamente eseguibile anche da individui non ancora abilitati alla conduzione dell'automobile per ragioni anagrafiche. Teoricamente. Perché il povero Luis, gettando nella mischia Verre ('94) e Caprari ('93) - che pure non hanno sfigurato, anzi - oltre al più esperto Viviani (classe 1992, come ricorda il suo numero di maglia) si è guadagnato il disprezzo dell'intera Italia pallonara. Quella incapace di comprendere come Totti non sia eterno, e se Luis Enrique - dalle cui parti non fa niente se ti chiami Ronaldinho o Henry, perché c'è sempre un imberbe di nome Messi o Pedro pronto a rubarti il posto - prova a spiegarglielo, fanno orecchie da mercante e rincarano la dose di veleno indirizzata nei suoi confronti.

E così il diesse Walter Sabatini, tra un acquisto - più o meno opinabile: la crescita di Kjær e Osvaldo pareva essersi interrotta una volta varcati i nostri confini, staremo a vedere cosa combineranno - e l'altro, si ritrova a riconfermarlo prudentemente: non è un buon segno. L'evidente rottura con la piazza, e quella facilmente intuibile con il capitano, va risanata alla svelta: lo sciopero è ciò che fa al caso suo, anche se potrebbe rivelarsi un pericolosissimo boomerang, perché l'assenza di un'occasione per riscattare la sanguinosa eliminazione dall'Europa League potrebbe - nella peggiore delle ipotesi - costare la panchina a Luis Enrique ancor prima dell'inizio della stagione.

Se davvero le cose andassero così, o comunque al tecnico spagnolo non venisse concesso di attuare il proprio progetto, la Roma commetterebbe - a mio parere - un mastodontico errore. A giudicare dalle prime uscite, la squadra esprime un calcio gradevole, seppur con le seconde linee, e con un pizzico di cattiveria in più davanti al portiere avversario - vero, Bojan? - a quest'ora credo proprio che staremmo tutti celebrando la frizzante rimonta della nuova, giovanissima Roma. Che, con il vivaio che si ritrova - tra i più produttivi della penisola, campione in carica del Campionato Primavera - potrebbe, o forse avrebbe potuto, rivelarsi l'habitat ideale per quest'allenatore e le sue innovazioni.

Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

martedì 23 agosto 2011

Calcio d'angolo - La qualificazione dell'Udinese: bisogna rubare le caramelle ai bambini

Arsenal vs. Udinese, Alex Song & Giampiero Pinzi

L'1-0 partorito dall'andata londinese è tanto bugiardo quanto ribaltabile, per quest'Udinese. Perché Guidolin, in barba alle cessioni di Zapata, Inler e Sánchez è riuscito - come prevedibile - ad assemblare un undici di tutto rispetto, ma soprattutto perché dell'Arsenal rimane ormai poco o nulla. Definitivamente seppellita la squadra degli «Invincibili», quelli capaci di trionfare in Premier League nel 2003-04 senza conoscere l'onta della sconfitta, con la cessione di Kolo Touré al Manchester City nel 2009, e passando per i tanti «saranno famosi» transitati di recente all'Emirates, rimane ora a disposizione dello squalificato Wenger una squadra che alle nostre latitudini disputerebbe - senza dubbio con ottimi risultati - il Campionato Primavera.

Contro il rivoluzionato Liverpool - che, a proposito, m'intriga moltissimo - in campo è scesa una banda di sbarbati: il solo Arshavin aveva già soffiato su trenta candeline tutte in una volta, e la quantità di neomaggiorenni in campo era - per la concezione calcistica italiana - oltremodo preoccupante. Jenkinson, Frimpong e Miquel sono venuti al mondo nel 1992, due anni più tardi di Ramsey, Lansbury e Szczęsny. Tutti assieme in campo, facevano sembrare Walcott (classe '89) un campione attempato. Di Nasri, nato a Marsiglia il 26 giugno 1987, meglio non parlare: non perché troppo vecchio, ma perché sedotto dai petrodollari del City e destinato a non giocare la gara di ritorno.

L'occasione è ghiotta, per un'Udinese che - una volta tanto - sarà la squadra con l'età media più alta: stavolta, toccherà ai friulani rubare le caramelle ai bambini dell'Arsenal, ma non è detto che si tratti di un'impresa semplice.


Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

mercoledì 10 agosto 2011

Calcio d'angolo - Grande calcio a Machačkala


Rifiutare 60 milioni di euro - netti - per prendere a calci un pallone è parecchio difficile, anche se hai visto la luce in Camerun e magari l'idea di trasformarti in ghiacciolo a Machačkala dopo aver assaggiato il tepore di Madrid, Maiorca e Barcellona non ti entusiasma particolarmente. Per questa ragione, Samuel Eto'o firmerà un fantasmagorico triennale con l'Anži. E dato che molto probabilmente, da qui al 31 agosto, verrà emulato da Sneijder - che andrà a Manchester: United o City? - ecco i consueti fiumi d'inchiostro dilapidati per ricordarci come il nostro calcio sia diventato misero e un'Inter che poco più di un anno fa vinceva tutto ma proprio tutto ne sia il perfetto emblema.

Be', forse è il caso di cambiare argomento, ed andare a scoprire cosa stanno combinando in Daghestan. Circa 50.000 chilometri quadrati, al confine con Georgia e Cecenia, bagnato dal Mar Caspio, qui è nato - a Derbent, nel 1966 - Sulejman Kerimov. Quest'uomo, da poco divenuto presidente dell'Anži, vanta un patrimonio di 7,8 bilioni di dollari, e ciò fa di lui - secondo la rivista Forbes - il 118esimo uomo più ricco del pianeta. Di questi 7,8 bilioni - «bi», non «mi» - ha deciso d'investirne nel calcio qualche briciola, sufficiente comunque per allestire una squadra sin da subito competitiva per il titolo di campione di Russia, visto e considerato che la stagione in corso sarà di una lunghezza sconcertante al fine di mettersi in pari con i maggiori campionati europei.
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Gadzhi Gadzhiev, classe '45, in panchina da un'eternità, si ritrova tra le mani del materiale umano di primissimo ordine. E se i primi acquisti, leggasi un Roberto Carlos riciclatosi regista, parevano buoni solo per le risate del calcio d'Occidente, con l'andare del mercato si sono resi tutti conto - Inter in primis - che l'Anži fa sul serio. Certo, Eliakwu, che in Italia ricordiamo a Trieste e La Spezia, e qualcuno anche a Gallipoli e Varese, gioca - poco - proprio lì, ma i suoi compagni di squadra rispondono al nome di Jucilei e Diego Tardelli. Brasiliani a rischio saudade, obietteranno in molti, ma a loro si sono aggiunti nelle ultime settimane delle assolute certezze. Boussoufa, scippato al Terek Grozny, è stata la prima, seguito a ruota da Dzsudzsák e Zhirkov. Il prossimo, a meno di clamorose soprese, dovrebbe essere Eto'o.


Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

venerdì 5 agosto 2011

Calcio d'angolo - Supercoppa italiana? Quest'anno preferisco il trofeo Tim



Il calcio d'estate, che è sincero quanto Pinocchio, ci regalerà una Supercoppa italiana pechinese. Il 6 agosto. A tre settimane dall'inizio del campionato, oltre dieci giorni prima del Trofeo TIM e con quasi un mese di calciomercato ancora da affrontare. Ma Inter e Milan, in rigoroso ordine alfabetico, faranno soldi a capellate: un tuffo nel florido mercato asiatico, insomma, era inevitabile.

Purtroppo, il valore - tecnico e non economico - della partita sarà dannatamente modesto. L'Inter, che a giudicare dalle amichevoli estive non ha ancora metabolizzato il 3-4-3 di Gasperini, presenterà in campo appena due sudamericani: Júlio César e l'infaticabile capitano Javier Zanetti; entrambi, però, si starebbero ancora godendo le vacanze, non fosse stato per gli infortuni di Viviano e Nagatomo. Cambiasso, Milito, Maicon e Lúcio, nel frattempo, riposano in chissà quale paradiso tropicale.

Sul versante rossonero, va sottolineata la presenza di tutti i reduci dalla Coppa America. Ma, e si tratta di un «ma» difficilmente trascurabile, nessuno dei nuovi acquisti del Milan sarà dell'incontro: Mexès, Taiwo ed El Shaarawy, infatti, non scenderanno in campo per ragioni differenti.

Ricapitolando: Inter e Milan, che questo trofeo l'han vinto cinque volte a testa - e perso ciascuna tre finali - scenderanno in campo l'una priva dei sudamericani, l'altra dei nuovi acquisti, il 6 agosto a Pechino con le gambe ancora molli, e senza un italiano sugli spalti, curve comprese: non pensavo che l'avrei mai scritto, ma credo - temo? - che quest'anno il Trofeo TIM avrà maggior senso ed appeal.


Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

venerdì 29 luglio 2011

Calcio d'angolo - Roma a porte scorrevoli



In quest'estate di Coppa America, la Roma del calcio si scopre a porte - è proprio il caso di dirlo - scorrevoli. Tra i pali della Lazio, Muslera è stato rimpiazzato da Marchetti, ma è sulla sponda giallorossa della capitale che si agitano i guantoni. Júlio Sérgio, che pure era stato il miglior portiere del campionato nel 2009-2010, si è ritrovato a Lecce, mentre Doni ha indossato - gratuitamente: a Trigoria ne avevano abbastanza dei suoi errori - la maglia del Liverpool. Per rimpiazzarli, oltre a Curci, tornato all'ovile, ecco Kameni: tre milioni di euro all'Espanyol e un quadriennale al calciatore, ma l'affare non è ancora stato messo nero su bianco. Eppure sembra questione di ore da ormai un paio di settimane, così come l'approdo di Stekelenburg ai piedi del Colosseo. Ad attendere l'olandese, oltre che l'affetto dei tifosi, c'è un quadriennale da 2 milioni a stagione, mentre all'Ajax dovrebbero andarne 6 più 2 di bonus.

Nato ad Haarlem nel settembre 1982, il gigantesco (197 centimetri d'altezza) Stekelenburg para ad Amsterdam da quando aveva 15 anni, e di lì non si è mai mosso, tranne che per difendere i pali della propria Nazionale. Con cui ha raggiunto la finale in Sudafrica, dando prepotenti segni di vita ad un mondo calcistico che l'aveva sin lì ignorato: giovanissimo protagonista in Champions League nel 2002-03, quando appena ventenne giocò tre partite (curiosità: 22' contro l'Inter, tutti e novanta contro la Roma) dimostrandosi però ancora acerbo. Tra un infortunio e l'altro è maturato, anche se - proprio a causa dei costanti problemi fisici - ha addirittura perso il posto tra i pali dell'Ajax nel 2009, quando van Basten - che pure gli ha regalato l'esordio in Oranje - decise di relegarlo in panchina per far spazio al più solido Kenneth Vermeer. Un passato poco incoraggiante dal punto di vista fisico, ma nel pazzo mondo del calcio conta solo ed esclusivamente l'oggi, ed allo stato attuale delle cose Stekelenburg è certamente uno dei migliori portieri del globo.

Però. Perché c'è un però, anzi più di uno: lo spettro di Gomes anzitutto, saracinesca tra i pali del PSV Eindhoven, scioltosi come neve al sole in Premier League, aleggia sinistramente su di lui. Volgendo poi lo sguardo sull'Italia dei portieri, non può che saltare all'occhio il trasferimento di Sirigu al Paris Saint-Germain per 3 milioni e mezzo appena: la metà di Stekelenburg. L'estremo difensore sardo, due presenze in azzurro, è stato costretto a varcare le Alpi per guadagnare 1,2 milioni di euro: è mai possibile che nessuna squadra della Penisola abbia avuto il coraggio di puntare su di lui? Certo, reduce com'è da una stagione di alti e bassi - dovuti, in parte, alle incomprensioni con il preparatore dei portieri Paradisi, acuiti dalle beghe contrattuali - forse qualcuno avrebbe arricciato il naso, ma ha 24 anni appena, sensibili margini di crescita, e - soprattutto - un passaporto italiano. Ora, magari, finirà a fare la riserva di Nicolas Douchez tra i pali del PSG.

Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

domenica 24 luglio 2011

Calcio d'angolo - La Viola, così, appassisce


Risparmiare sul concime è concesso, estirpare le radici no: così facendo, la Viola appassisce. Questa metafora botanica, personalmente, mi pare azzeccatissima per descrivere ciò che sta accadendo in seno alla Fiorentina: il monte ingaggi (il concime) è sì stato ridotto di circa 15 milioni - lordi - da Corvino, ubbidiente giardiniere al servizio della proprietà, ma per riuscirci sono stati (s)venduti - sino ad ora - due cardini della squadra (le radici) come Mutu e D'Agostino, senza tra l'altro guadagnarci un singolo euro, anzi rimettendoci parecchi quattrini: il regista è stato lasciato tornare all'Udinese, che l'ha poi girato al Siena, per 111 mila euro, dopo aver sborsato 5,6 milioni per la metà del cartellino e 2,2 di stipendio. Non vanno poi dimenticati gli altri quattro svincolati: Donadel, Santana, Comotto e Avramov, tutti agevolmente accasatisi in Serie A, con i primi due addirittura catapultati in Champions League dalla firma con il Napoli.

Ma, in tema di illustri addii, il peggio deve ancora arrivare. Frey, ad esempio, è stato silurato da Mihajlović: per l'allenatore, il posto tra i pali se lo giocano Boruc e Neto. Il portiere francese, vanamente offerto al Genoa, pare ora essere diventato l'alternativa - dell'alternativa: Viviano - di Stekelenburg, per una Roma alla disperata ricerca di un estremo difensore affidabile. In uscita anche Gilardino, nonostante le smentite di Mihajlović: il centravanti ha un contratto sino al 2013, ma pretende un prolungamento - con annesso ritocco dell'ingaggio - per rimanere a Firenze. Infine, ecco Montolivo, in scadenza nel 2012 e recentemente privato della fascia di capitano, scivolata sul braccio di Gamberini: per il centrocampista di Caravaggio, dove crebbe il sommo Michelangelo Merisi, c'è il Milan alla finestra. A mio parere, è lui il Mister X di cui tanto si è parlato: mezzala, capelli folti, piedi buoni, anzi ottimi, passaporto comunitario, centottanta e passa centimetri d'altezza e - dulcis in fundo - occhi cerulei.

Al momento di sostituirli, Corvino ha opportunamente assecondato i Della Valle e scelto di limitare gli esborsi. Il brasiliano Rômulo, che vanta il prezioso passaporto comunitario, è costato 2 milioni e mezzo, quanto il giovanissimo (classe '93) difensore serbo Nastasić. Nelle ultime ore, ecco il presunto sostituto di Montolivo, Lazzari, oltre all'alternativa a Behrami, Munari, e per completare il proprio mosaico Corvino sogna Aquilani. I tifosi della Fiorentina, invece, si augurano di svegliarsi al più presto e scoprire che questo atroce ridimensionamento sia stato solo un brutto sogno.


Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

martedì 19 luglio 2011

Calcio d'angolo - La Copa di quelli che non vogliono andare in vacanza


Non so come si dica «favorito» in spagnolo, ma ho il vago sospetto che questo vocabolo non compaia nei dizionari stampati tra Punta Gallinas e Cabo de Hornos. Il perché? Presto detto: Argentina, Brasile, Cile e Colombia rispedite a casa rispettivamente da Uruguay, Paraguay, Venezuela e Perù. Chi ci ha preso, anche investendo una semplice decina d'euro su questa multipla, ora sta pianificando la vacanza dei propri sogni. Garantito.

Tutt'altro che contrariati dal dover lavorare almeno sino al 23 luglio, anzi speranzosi di posticipare l'ultimo giorno di servizio al 24, appena quattro uomini. Sergio Markarián, Oscar Tabárez, Gerardo Martino e César Farías, in rigoroso ordine di qualificazione. Profondamente diversi l'uno dall'altro, ma - assistiti dalla suerte - capaci di condurre in semifinale i propri uomini, che magari si chiameranno Vizcarrondo e Cichero anziché Lúcio e Thiago Silva, oppure Chiroque e non Messi, ma sono ancora lì ad inseguire la Copa. Grazie anche, o forse soprattutto, a chi predica calcio seduto in panchina.

Don Marka, ovvero Sergio Apraham Markarián Abrahamian. Nato a Montevideo nel '44 da famiglia armena, trasferitosi a 7 anni in Argentina, sul pino dal 1976. Ha girato metà Sudamerica, transitando sulla panchina del Paraguay ed assaggiando la Grecia. Lo chiamano «Mago», non hanno torto: un Perù desolatamente ultimo nel girone di qualificazione ai Mondiali 2010, senza quel monumento di Claudio Pizarro (degnamente sostituito da Guerrero, più gol in queste quattro partite che nell'ultima Bundesliga con l'Amburgo) e con il già citato Chiroque al posto di Farfán, si godrà un piazzamento in Coppa America che alla Blanquirroja manca dal '97, quando ne buscò 7 in semifinale dal Brasile di Romário e Leonardo.

Oscar Tabárez, undici partite sulla panchina del Milan nel 1996, detto «el Maestro», dovrà fare i conti con il suo di maestro quando - a La Plata - si ritroverà di fronte Markarián. Anno di grazia 1977, Tabárez rincasa in Uruguay dopo un'annata messicana nel Puebla, ed alla guida del Bella Vista trova l'uruguaiano d'Armenia. Poi Oscar, trentunenne, appende gli scarpini al chiodo e Sergio va a sedersi sulla panchina del Danubio. E chissà che Markarián non abbia fatto in tempo ad insegnare al suo allievo che, se il tuo mediano si fa espellere al 38' sul campo dei favoritissimi padroni di casa, tenere in campo le due punte (Suárez e Forlán) è la migliore delle soluzioni. Forse è andata così, o forse si è trattato di una manifestazione della celebre garra charrúa.

Gerardo Martino, «el Tata», è nato a Rosario il 20 novembre del '62. Undici giorni più tardi di Sergio Batista e cinque mesi dopo Mano Menezes. A lui tocca il Paraguay, gli altri due si godono l'Argentina ed il Brasile, lui lavora con Estigarribia e Vera, gli altri due si coccolano Messi e Neymar, Agüero e Thiago Silva. Lui è in semifinale, gli altri due si apprestano alla pubblica gogna. Da Ripacandida, in provincia di Potenza, da cui partirono i suoi nonni, ecco il più grande sottovalutato della panchina sudamericana.

César Farías, nato allenatore nel marzo 1973. Cinque mesi in più di Javier Zanetti, ma undici in meno di Marcelo Elizaga, il portiere dell'Ecuador, nonno della Coppa America. Sulla panchina del Nueva Cádiz a 25 anni e vincitore della seconda divisione venezuelana, nel febbraio 2008 si è meritatamente ritrovato a guidare la Vinotinto. Ha sconfitto il Brasile, per la prima volta nella storia del calcio venezuelano, e condotto i suoi oltre i quarti di Coppa America, per la prima volta nella storia del calcio venezuelano. Che sia anche la prima volta in finale? Lui - come ovvio - se lo augura.


Antonio Giusto


Fonte: Goal.com